Germinal (BUR) by Émile Zola

Germinal (BUR) by Émile Zola

autore:Émile Zola [Zola, Émile]
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR
pubblicato: 2012-06-11T22:00:00+00:00


5

E un’altra quindicina passò. Si era ai primi di gennaio: gelide brume intirizzivano l’immensa pianura. La miseria si era fatta ancora più pungente, i villaggi operai agonizzavano di ora in ora, sotto la crescente penuria di viveri. Quattromila franchi mandati da Londra, dall’Internazionale, non avevano dato tre giorni di pane. Poi, non era giunto altro. Quella grande speranza andata delusa abbatteva in tutti il coraggio. Su chi fare assegnamento, ora, visto che i loro stessi fratelli li abbandonavano? Si sentivano, così nel cuore dell’inverno, assolutamente perduti, isolati dal mondo.

Il martedì al villaggio dei Ducentoquaranta venne letteralmente a mancare ogni risorsa. Stefano, assieme coi delegati, si era fatto in quattro: nuove sottoscrizioni erano state aperte nelle città vicine, e anche a Parigi, persino. Si organizzavano questue, si tenevano conferenze. Tutti quegli sforzi non portavano a nulla di conclusivo; l’opinione pubblica, che a bella prima si era commossa, visto che lo sciopero tendeva a protrarsi all’infinito, calmissimo, senza dar luogo a drammi appassionanti, ormai se ne disinteressava apertamente. Non pervenivano che rare elemosine, appena sufficienti a sostenere le famiglie più bisognose. Le altre vivacchiavano impegnando il vestiario, . vendendo a pezzo a pezzo l’arredamento di casa. Tutto andava a finire nelle mani dei rigattieri, la lana dei materassi, gli utensili di cucina, i mobili perfino. C’era stato un momento in cui si era creduto che fosse venuta la salvezza; i piccoli minutanti di Montsou, già ridotti al lumicino da Maigrat, avevano risollevato la testa offrendosi di vendere a credito, nella speranza di tornare a portar via la clientela al fortunato rivale; per una buona settimana, infatti, Verdonck, il droghiere, e i due fornai Carouble e Smelten tennero bottega aperta; ma le loro possibilità ebbero presto fatto ad esaurirsi, e i tre tornarono a chiudere i battenti. Chi se ne rallegrò, furono gli uscieri: il tentativo non era sfociato che in uno schiacciante aumento di debiti, che doveva pesare a lungo sugli oberati minatori. Niente più credito da nessuna parte, dunque; più nessuna casseruola da vendere: non restava che coricarsi in un cantuccio e crepare come tanti cani rognosi.

Stefano si sarebbe venduto a pezzo a pezzo. Aveva dato i suoi minuscoli proventi, si era recato a Marchiennes a impegnare i pantaloni e la giacca di panno, felice che, in grazia sua, in casa Maheu si potesse mettere ancora qualche cosa in pentola. Non gli rimanevano più che gli stivaletti, e li teneva, diceva, per tenere saldi i piedi. Lo esasperava il pensiero che lo sciopero fosse scoppiato troppo presto, quando la Cassa di Previdenza non aveva ancora avuto il tempo di impinguarsi. L’unica causa del disastro per lui era quella, che gli operai, il giorno in cui trovassero nel risparmio il danaro necessario alla resistenza, trionferebbero di sicuro dei padroni. E gli tornavano in mente le parole di Suvarin, quando aveva accusato la Compagnia Mineraria di spingere le maestranze allo sciopero, appunto per far loro sperperare i primi fondi della Cassa.

La vista del villaggio operaio, di tutta quella povera gente senza pane e senza fuoco, lo sconvolgeva.



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